Il titolo della composizione, “
Irrene Stimme” nasce da un volontario errore ortografico in tedesco, una specie di gioco di parole tra “innere” (interno) e “irre” (folle, falso, errato), ma anche “irren” (errare, perdere la strada). “Irrene Stimme”, dunque, non esiste in tedesco; semmai esistono le “Irrende Stimmen”, voci che si perdono. Il titolo nasce anagrammando quasi perfettamente “Innere Stimme” (“voce interna” - Schumann…) e suscita una serie di possibili assonanze di significato. Infatti “irre” significa sì matto, folle, ma anche “sbagliato” e, come si diceva, anche “sich irren”, cioè errare, nel senso molteplice di sbagliare (strada), perdersi (“sich verirren”) e vagabondare senza meta. L’assonanza può essere estesa anche a “irden”, fatto di terra, e a “Irrgarten”, labirinto.
La presenza del solista impone automaticamente alla composizione la necessità di un dialogo tra ciò che è per definizione principale e ciò che si costringe a essere secondario. Secondario non vuole dire di minore importanza o di trascurabile peso percettivo. Al contrario, il rapporto tra strumento solista e compagine “accompagnatrice” può diventare l’occasione di mille incontri, con valenze e significati diversi, e moltiplicare polifonicamente le gerarchie istituite dalla forma concerto. Già nel mio primo pezzo per pianoforte e orchestra, “
Fantasia - invenzione a una voce”, avevo tentato di seguire questa strada: la scrittura del pianoforte è virtualmente (e paradossalmente) monodica, essendo le altre voci, suscitate dalla voce del pianoforte, affidate agli strumenti dell’orchestra.
La scrittura e il ruolo solistico affidato al pianoforte in
Irrene Stimme è apparentemente più tradizionale rispetto a quelli affidati al pianoforte di
Fantasia. Ma ciò che ho voluto fare è stato, ancora una volta, scomporre, moltiplicare e piegare in una forma diversamente armonica i rapporti di subordinazione tra la voce del solista e quella degli altri strumenti, a loro volta aggregati gerarchicamente in maniera continuamente variabile.
La voce affermativa del pianoforte all’inizio conferma i ruoli e le aspettative. La voce proiettata esternamente è solidamente guidata da una voce interna che vuole affermare la sua volontà espressiva accettando le convenzioni del concerto. In questo sta l’aspetto tradizionale di questo pezzo. Ma poi la voce del pianoforte si fa sempre più lamento e poi ancora caduta tumultuosa; la voce interna vuole emergere, non più essere conforme alle convenzioni e soggetta al rispetto delle gerarchie, non più capace di guidare il discorso su questa unica strada. Diventa tante voci interne, in cui la voce principale, quella esterna del pianoforte, finisce per perdersi; e le strade da percorrere diventano tante, e nessuna è maestra. Il solista, insomma, conduce l’orchestra a errare, e la lettera R, emblema della perdita e della possibilità del trovare, diventa l’orchestra stessa, come se il compito dell’orchestra fosse quello di tradurre onomatopeicamente la condizione dell’erranza.
Mentre la voce principale da grave si fa lamento, e poi vortice, spirale discendente, lo strumento che la incarna, il pianoforte, è assalito da “innere Stimmen” che diventano sempre più “irre”, si estendono all’orchestra e alla fine lo “mangiano” letteralmente. Unici momenti di sospensione di questo processo moltiplicativo e degenerativo al tempo stesso sono quelli giocati tra il pianoforte e i suoi due “alter-ego-sosia”: la sua prima eco incarnata dal Cimbalom e la seconda, più evanescente, dal Trinidad Steel Drum. “Innere Stimmen” dell’orchestra sono invece la massa degli archi che suonano in più punti tutti con una sordina di metallo, producendo un suono lontanissimo, colmo di suoni parassiti.
Questa composizione è nel suo complesso una rapsodia, e la denominazione di “inizio di partita” sta a significare che il primo movimento di una composizione in più parti - una “Partita”, appunto, assalito dalle “innere Stimmen”, ha preso talmente spazio da diventare l’intero concerto.
Stefano Gervasoni, September 06
Irrene Stimme is a play on words in pseudo-German between “innere” (inner) and “irre” (crazy, false, wrong) but also “irren” (to mistake, to lose one’s way). “Irrene Stimme” therefore does not exist in German; maybe there might be “Irrende Stimmen”, voices that get lost. The title is thus almost a perfect anagram of “Innere Stimme” (“inner voice”, in the manner of Schumann) and opens up a number of possible assonances in meaning. In fact “irre” means mad, crazy, but also “wrong”, and, as we have said, also “sich irren”, that is to err, in the multiple sense of to lose (the way), get lost (“sich verirren”) and to wander aimlessly. Finally, the assonance also works with “irden”, made of earth, and with “Irrgarten”, labyrinth.
An inner voice that guides us firmly, but if it goes crazy it no longer guides; so there will not be only one way, but many directions in which to lose oneself. We should also consider the voiced sound of the letter “R”, which onomatopeically indicates the loss and the possibility of finding. To err and to search: to get lost and the principle of finding. Some of my other works too (from
Parola onwards) have been inspired by the letter “R”. In this most recent composition the lowest register of the piano becomes a lament, a vortex, a descending spiral, while the instrument is assailed by “innere Stimmen” that gradually grow more "irre”, extend to the orchestra and finally “eat up” the soloist. The only moments of relief are those played between the piano and its two alter-ego-doubles: the first echo being on the Cymbalom and the second, more evanescent, on the Trinidad Steel Drum. The “Innere Stimmen” of the orchestra consist of the body of strings all playing with metal mutes, producing a very distant sound, packed with parasitic sounds.
The composition is fundamentally a rhapsody, and the phrase “inizio di partita” implies that the first movement has taken up so much space, assailed as it is by the “innere Stimmen”, that it has become the whole concerto.
Stefano Gervasoni, September 06