Dal 1992 riflettevo a un possibile progetto compositivo che utilizzasse i distici di Angelus Silesius che il mistico tedesco del XVII secolo, poeta e pensatore, raccolse nei sei libri del Cherubinischer Wandersmann. Solo nel 2002, grazie alla proposta ricevuta dai Neue Vocalsolisten la mia idea ha potuto diventare realtà.
Ciò che mi interessa maggiormente e mi affascina nei distici di Silesius è l’unione di semplicità e ambiguità che li caratterizza: il senso è continuamente sfaccettato all’interno della piccola forma del distico (due versi di dodici piedi ciascuno con cesura al centro e in rima baciata) grazie alla inesauribile capacità che Silesius ha di variarla all’infinito. Di rimando in rimando, di paradosso in paradosso, di negazione in negazione, di gioco linguistico in gioco linguistico il senso si fa sfuggente e un’interpretazione teologica univoca diventa impossibile: invano vi si cercherebbe il Silesius luterano o cattolico, il militante fanatico del cattolicesimo o il mistico straniero ad ogni confessione.
Dio non si definisce, o si definisce in una maniera tutta negativa, poiché ogni definizione è una limitazione e Dio è alieno alle qualità che l’uomo può prestargli. È questo il secondo aspetto della poesia mistica di Silesius che mi ha affascinato: la tensione ad andare oltre Dio, nel mentre l’uomo si sforza, per raggiungerlo, di andare oltre sé stesso. [...]
Wo soll ich denn nun hin? / Ich muß noch über Gott in eine Wüste ziehn. (I, 7): Ove dunque mi volgerò? / Ancora oltre Dio, a un deserto, devo tendere.
È la visione non nichilistica del nulla, propria del mistico: la stessa che è in grado di comporre in un’unica esperienza terreno e celeste, quotidiano e rarefatto, consueto e inaudito, corpo e spirito. La sospensione mistica con il suo fare vuoto dentro sé stessi vuol dire annullare l’io psicologicamente determinato che concepisce un dio che di quell’io è la proiezione, dunque che è altrettanto determinato. Fare scomparire l’io come soggetto determinato e dio come oggetto determinato, concepito umanamente: “in dir”, in Dio e in te stesso, oltre Dio e oltre te stesso.
Il trattamento musicale dei testi di Silesius, oltre ad essere stato influenzato dalla particolare dimensione dell’esperienza che è il misticismo - il misticismo al di là dei suoi contenuti religiosi -, si è sforzato di rendere in maniera tredici volte diversa non solo il contenuto poetico di ogni distico ma anche il suo particolare significato teologico o groviglio di nessi filosofico-religiosi. In ciò anche servendosi dell’ulteriore possibilità di significazione simbolica offerta dal serialismo, quasi concependolo come sostituto del sistema tonale con le sue possibilità linguistiche di significazione autonoma che si intrecciavano con quelle funzionali e espressive del linguaggio vero e proprio.
In dir utilizza la seguente serie dodecafonica, simmetricamente divisibile in 2 + 4 / 4 + 2 cellule:
Con i suoi dodici suoni e la sua simmetria, essa corrisponde alla struttura del verso adottato da Silesius (secondo rapporti 1:1 – una serie per un verso; ma anche 1:2 – due serie per un verso; 1:3 etc.; oppure 1:0,5 – la prima parte della serie per un verso; e altri ancora) ed è sviluppata secondo i principi del serialismo canonico, del post-serialismo e secondo criteri personali improntati a rendere tangibile nella struttura musicale il nucleo teologico-poetico di ogni singolo distico. Unica deroga ai principi del serialismo (e comunque inglobata coerentemente all’interno del sistema compositivo messo a punto per
In dir) è l’uso di triadi maggiori o minori ottenute dalla sovrapposizione di un’altra serie ad un intervallo di terza maggiore sopra o sotto le due terze minori che aprono e chiudono la serie base. Anche questo tipo di trattamento musicale risponde a una funzione espressiva e simbolica ben precisa: naturalmente nel segno dell’ambiguità e del rovesciamento di senso del misticismo poetico silesiano, la triade potendo evocare, a seconda della sua posizione nel verso, l’assoluto di Dio o la trivialità della condizione umana, ma anche l’umanità terrena di Dio o la deità dell’uomo.
Stefano Gervasoni, 29.8.03