Nel 2003 ho scritto “
In dir”, per ensemble vocale a sei voci, un ciclo di undici brani (a cui ne ho aggiunti altri due, nel 2004, in guisa di apertura e di chiusura) con i testi del mistico del XVII secolo, Angelus Silesius, poeta e pensatore, raccolti nei sei libri del
Cherubinischer Wandersmann. La commissione di un sestetto per archi da parte di Harry Vogt - che qui desidero ringraziare pubblicamente - mi ha dato l’idea di scrivere un commento a “In dir”, che di questo pezzo utilizzasse lo stesso materiale musicale e si ponesse rispetto ad esso in rapporto di complementarietà. Di “
In dir” , “
Dir” conserva il numero delle voci - ma non le parole - e il loro materiale musicale, diventando così una specie di “sotto-testo”, una esplicitazione in termini puramente musicali del “particolare significato teologico o groviglio di nessi filosofico-religiosi” dei distici di Silesius (cito qui la mia presentazione a “
In dir”). A questo scopo il brano utilizza principi costruttivi direttamente derivati dai testi silesiani, sorta di madrigalismi di tipo evoluto con il testo in
absentia.
Se “
In dir” è tensione del raggiungimento del divino o dell’essenza della verità in un altrove ignoto o dentro l’ignoto di noi stessi – tentativo che si attua attraverso la parola -, “
Dir” è questo stato, o luogo, dove tale segreto, il mistero dell’essere, è conservato, e che la parola non sa dire.
Per questo, nella mia intenzione i due sestetti dovrebbero costituire le due metà di un
unicum, l’“uno” dell’antico mito platonico, l’essere androgino primordiale da Zeus diviso in due metà, ognuna delle quali perennemente sofferente della nostalgia della propria metà perduta e del continuo tentativo di ricongiungersi ad essa.
Una complementarietà che si realizza attraverso l’alternanza, mai con la sovrapposizione. Il “Tu” divino, che la parola evoca, coincide nella sua essenza con la scoperta dell’“io interiore”, ma l’uno e l’altro sono irraggiungibili. “
In dir” e “
Dir” sono complementari perché possono essere eseguiti di seguito (prima il sestetto vocale, poi il sestetto per archi) o alternati secondo l’ordine seguente, in cui i brani di “
Dir” sono presentati in ordine inverso rispetto ai corrispettivi brani di “
In dir”:
Oppure potranno essere eseguiti separati, rimandandosi l’un l’altro a distanza. Per chi conosce uno dei due sestetti, l’ascolto dell’altro non potrà fare a meno d’illuminarsi di un valore aggiunto di senso. Nel caso dell’esecuzione del solo “
Dir” – come per questa prima dei
Wittener Tage für neue Kammermusik 2004 – i dodici brani che lo compongono saranno presentati senza soluzione di continuità, come sezioni di un unico pezzo. L’esecuzione di “
In dir” separata da “
Dir” dovrà invece prevedere una cesura tra un brano vocale e l’altro.
“
Dir” è il continuo rimbalzare del senso ultimo, che così sfuggendo, inafferrabile, si conserva insvelato nel mistero. A questo motivo, oltre che per ragioni legate all’organizzazione interamente seriale (rimando per una più estesa presentazione di questo aspetto alla già citata presentazione di “
In dir”), risponde il trattamento dialogico degli archi. Essi sono presentati sulla scena in due trii disposti stereofonicamente con i rispettivi strumenti ordinati in senso inverso, asimmetricamente rispetto all’asse centrale (vl. I, vla I, vc. I / vl.II, vla II, vc. II), e ripartiti volta per volta in vari modi: come coppie di strumenti uguali o triplo duo (due violini, due viole, due violoncelli), come due trii (violino, viola, violoncello primi e violino, viola, violoncello secondi), come sestetto, o come strumento solista (ogni volta uno strumento diverso) accompagnato dagli altri cinque.
Stefano Gervasoni, 12.3.04 -26.3.05