De Tinieblas

sulle Tres Lecciones de Tinieblas di José Ángel Valente

2019-20
FOR
mixed choir and live electronics
TEXT BY
José Ángel Valente
DETAILED INSTRUMENTATION
S.S. A.A. T.T. B.B. (at least 32 singers)
DURATION
50'
COMMISSION
Ministère de la Culture (France) - IRCAM
FIRST PERFORMANCE
11.6.22, Milan, San Marco church, Milano Musica 2022, SWR Vokalensemble Suttgart, Yuval Weinberg (conductor), Thomas Goepfer, Benoît Meudic (IRCAM sound designers)
PUBLISHER
CATALOGUE NUMBER
142110
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Score extracts

Introduction

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Lessons, darkness…

Crossing the threshold which from the usual, the familiar leads us to an elsewhere to be experienced once again. 
An elsewhere to be “apprehended” putting back in discussion the sensorial and logic habits matured on the life side preceding the unknowable darkness of death.
Discipline of unveiling what is obscure and imposes new knowledge laws (“lessons”). The obscure is not an absence (of sense, life, action, light), but, while we are lost, it’s a place to be discovered and inhabited again: being obliged by the new condition to dismiss (unlearn) the customs of appearance, of brightening light, of acquired rules, of preset categories.
Relying on a not native albeit existing consciousness (which knowing conditions were not accessible), to be opened by tuning at the same time the senses needed for its revelation.
If darkness is usually associated with negation and absence (of light, shape, sound, word), the “lessons of darkness” are therefore obscurity that dazzles, silence that deafens, writing that sounds and shapes. Darkness as a condition of extreme wealth, not as a suffocating vacuum to avoid.
Exuberance of what is otherwise called nothing. Vox Clamantis in Deserto. Paradoxical overturning.
S.G. 26.3.19


 
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De Tinieblas è un progetto che ho lungamente sognato e atteso, da quando nel 2016 presentai all’IRCAM la proposta di scrivere delle moderne Leçons de Ténèbres ispirate all’ufficio liturgico della settimana Santa, genere della musica barocca francese (François Couperin, Marc-Antoine Charpentier, Michel Richard Delalande…) che aveva ripreso la tradizione dei compositori tardo rinascimentali (John Shepard, Thomas Tallis, Tomás Luis de Victoria, Giovanni Pierluigi Palestrina, Orlando di Lasso, Carlo Gesualdo…) di fiorire polifonicamente le lamentazioni di Geremia deplorante l‘assedio e la distruzione di Gerusalemme.
Al modello francese delle tre lezioni, tre per ognuno dei tre ultimi giorni della settimana santa, vale a dire l’ufficio liturgico delle tenebre della chiesa cattolica, si era ispirato il poeta spagnolo José Angel Valente (1929-2000) scrivendo i quattordici testi delle sue Tres lecciones de tinieblas, integralmente utilizzati nella mia composizione, a cui mi sono dedicato tra la fine del 2019 e l’aprile dell’anno successivo, nel periodo oscuro della clausura a cui lo scoppio della pandemia da covid-19 aveva costretto il mondo. La prima esecuzione di De Tinieblas è stata più volte fissata e rimandata, e ci sono voluti altri due anni prima che questo sogno di un attraversamento delle tenebre diventasse realtà. Valente, con i suoi testi, benché non di tipo liturgico e non riconducibili a una professione di fede, fa allusione al terzo notturno, cioè alle lezioni VII, VIII e IX dell’ultimo giorno della settimana santa, quando per simbolizzare la morte di Cristo, si spengono successivamente le ultime quattro di quindici candele; la quindicesima viene posta dietro l’altare, che ne scherma così la luce. L’ufficio termina nella totale oscurità, durante la quale si produce lo strepitus, il terremoto seguito alla morte sulla croce di Cristo, sbattendo i libri sacri o le mani e i piedi contro i banchi della chiesa. La candela nascosta dietro l’altare viene mostrata al popolo e indicata come la luce del nuovo inizio prima di essere spenta.
 
De Tinieblas è scritto per coro sinfonico ed elettronica. La massa delle voci (minimo trentadue cantanti) viene organizzata in un coro unico o a cori spezzati, con una scrittura polifonia densa, comportante frequenti divisioni, sempre variabili, a più parti reali, fino a sedici. La voce è trattata in maniera sillabica o fonetica ma raramente presenta tecniche di emissione particolari, salvo il parlato sottovoce, afono, e il sussurrato. Tutti gli effetti sonori e puramente timbrici sono ottenuti tramite manipolazioni polifoniche del testo, in maniera da produrre la sensazione di uno scioglimento del senso o di una sua disseminazione nel suono, la “semantizzazione” degli organismi sonori che la parola poeticamente organizzata crea, sciogliendosi nella pura musica. Le strategie retoriche messe in atto da Valente e le immagini che le sue parole convocano facendo leva sul valore simbolico delle lettere dell’alfabeto ebraico diventano i vettori dei procedimenti compositivi che, volta per volta, si ancorano a parole emergenti e catalizzanti la memoria, come punti di partenza e di arrivo di tensioni e trasformazioni che le congiungono.
L’elettronica ha un triplice ruolo in questo pezzo.
In tempo reale come in tempo differito, utilizzando suoni vocali preregistrati o captati dal vivo produce un effetto di densificazione della massa corale, aumentando il numero delle parti reali cantate, il numero di cori “virtuali” che si aggiungono al coro unito o spezzato reale, la loro dislocazione spaziale.
In tempo differito, come enunciatore melismatico delle lettere dell’alfabeto ebraico (preregistrate dal coro che le sussurra) da cui prendono origine le quattordici sezioni cantate. Una voce fuori campo, che dalla prima lettera – Alef – all’ultima – Nun – viene sempre più elaborata melismaticamente e microscopicamente, perdendo in intellegibilità mano a mano che il trattamento elettronico l’avvicina alle profondità del suo corpo sonoro.
Il terzo ruolo dell’elettronica è quello di creare un bordone sonoro che accompagna l’esecuzione del pezzo da cima a fondo (ed è sincronizzato al video di Paolo Pachini che può, opzionalmente, fungere da scenografia mobile del concerto). E’ fatto di suoni artificiali ottenuti dalla risintesi del frammento della partitura in cui viene cantato “oh Jerusalem”, che Valente pone a chiusura della prima e dell’ultima sezione delle sue lecciones, frammento che si ripete dilatandosi progressivamente e trasponendosi sempre più verso il registro grave. Come uno schermo su cui la musica si proietta, o come un velo attraversato invisibilmente dalle voci che a volte si manifesta offuscando o mascherando parzialmente la visione, questo “drone” discende dalla frequenza acutissima che si origina dal soffio del fonema “f” di Alef alla fondamentale subsonica su cui si àncora uno spettro sonoro invadente e disturbante, il terremoto che congeda la musica, dopo avere attraversato l’intero spazio frequenziale del coro e averne condizionato l’ascolto: la fine è l’aldilà del silenzio appena toccato, il nuovo inizio finalmente intravisto.
 
Non ho nessuna fascinazione per il buio, l’oscuro. Nessun compiacimento di starci. La ricerca della luce è esigenza vitale, e i tempi che stiamo vivendo non sono certo luminosi. Il declino della civiltà, il degrado del pianeta dovuto agli sconvolgimenti climatici e geopolitici prodotti da modelli economici insostenibili, la pandemia, la perdita di senso dell’idea di bene comune, etc. ci fanno pensare al buio come a una condizione inevitabile, da attraversare per maturarne un’esperienza. Non per rivedere, indenni, all’uscita del tunnel, la luce esterna, come se nulla fosse successo. Ma per vederne, dall’interno, la sua luce precipua. Per fare l’esperienza di un altrove da “apprendere”, rimettendo in discussione le abitudini sensoriali e logiche maturate in vita precedenti il buio inconoscibile della morte, a essa indifferenti. L’oscurità svela e produce nuove leggi di conoscenza. Non è un'assenza (di senso, di vita, di azione, di luce), ma un luogo da esperire e abitare di nuovo, mentre ci si perde: essendo obbligati dalla nuova condizione a dismettere le abitudini di apparenza, di luce illuminante, di regole acquisite, di categorie prestabilite con le quali, solitamente, affrontiamo la vita. Dovendoci affidare a una coscienza i cui strumenti si disvelano e si affinano nel momento in cui ci si concede di abbandonarsi all’oscurità per esperirla veramente.
Se il buio è solitamente associato alla negazione e all'assenza (della luce, di una forma, del suono, della parola), le “lezioni del buio” sono l'oscurità che abbaglia, il silenzio che assorda, la scrittura che suona e modella. Il buio come condizione di estrema ricchezza, non come vuoto soffocante da evitare.
Esuberanza di ciò che altrimenti chiamiamo nulla. Vox Clamantis in Deserto. Ribaltamento paradossale.
 
S.G. 22.2.22

Text(s)

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                                   TRES LECCIONES DE TINIEBLAS
                                   José Ángel Valente
                                   (1980)

                                                                     El Santo, bendito sea, reside en las letras.
                                                                     DOV BAER DE MEZERITZ
 

                                   Primera lección
 
                                    א  ALEF
 
                                       En el punto donde comienza la respiración, donde el
                                    alef oblicuo entra como intacto relámpago en la sangre:
                                    Adán, Adán: oh Jerusalem.
 
                                    ב  BET

                                       Casa, lugar, habitación, morada: empieza así la oscura
                                    narración de los tiempos: para que algo tenga duración,                                                      
                                    fulguración, presencia: casa, lugar, habitación, memoria:
                                    se hace mano lo cóncavo y centro la extensión: sobre las
                                    aguas: ven sobre las aguas: dales nombres: para que lo
                                    que no está esté, se fije y sea estar, estancia, cuerpo: el
                                    hálito fecunda al humus: se despiertan, como de sí, las
                                    formas: yo reconozco a tientas mi morada.
 
                                    ג  GUIMEL
 
                                       El movimiento: exilio: infinito regreso: vértigo: el solo
                                    movimiento es la quietud.
 
                                    ד  DALET
                                                              
                                       Tejí la oscura guirnalda de las letras: hice una puerta:  
                                    para poder cerrar y abrir, como pupila o párpado, los      
                                    mundos.  
 
                                    ה  HE
 
                                       El latido de un pez en el limo antecede a la vida:                                                                          
                                    branquia, pulmón, burbuja, brote: lo que palpita tiene un
                                    ritmo y por el ritmo adviene: recibe y da la vida: el hálito:
                                    en lo oscuro el centro es húmedo y de fuego: madre,
                                    matriz, materia: stabat matrix: el latido de un pez antece-
                                    de a la vida: yo descendí contigo a la semilla del respirar:
                                    al fondo: bebí tu aliento con mi boca: no bebí lo visible.
 

                                    Segunda lección
 
                                    ו  VAV
 
                                       Fuerza: caída sobre sí: sobre sí misma consumida: vol-
                                    vía una y otra vez en busca de su nombre: mas no tenía
                                    nombre: respuesta a la que nadie interrogaba: buscaba
                                    grietas, surcos: la penetración: recorría superficies ham-                                                                 
                                    brienta: lo lineal, lo liso: no se conocía: nada sabía o no
                                    sabía más de sí que el sentirse a sí misma fuerza ciega:
                                    se alumbró en lo cóncavo: creció en lo húmedo: entró en
                                    las bocas de la tierra: murió: fue concebida: desde el
                                    morir al no morir: de sobremuerte: el germen.
 
                                    ז  ZAYIN                                                
 
                                       Ahora tenía ante sí lo posible abierto a lo posible y lo    
                                    posible: y para no morir de muerte tenía ante sí mismo el  
                                    despertar: un dios entró en reposo el día séptimo: vestis-
                                    te tu armadura: señor de nada, ni el dios ni tú: tu propia 
                                    creación es tu palabra: la que aún no dijiste: la que acaso
                                    no sabrías decir, pues ella ha de decirte: la que aguarda
                                    nupcial como la sierpe en la humedad secreta de la pie-
                                    dra: no hay memoria ni tiempo: y la fidelidad es como un
                                    pájaro que vuela hacia otro cielo: nunca vuelvas: un dios
                                    entró en reposo: se desplegaba el aire en muchas aves: 
                                    en espejos de espejos la mañana: en una sola lágrima el
                                    adiós: te fuiste como el humo que deshace incansable sus                                                               
                                    múltiples figuras: no adorarás imágenes: señor de nada:
                                    en el umbral del aire: tu planta pisa el despertar.
 
                                    ח  JHET
 
                                       Deja que llegue a ti lo que no tiene nombre: lo que es
                                    raíz y no ha advenido al aíre: el flujo de lo oscuro que
                                    sube en oleadas: el vagido brutal de lo que yace y pugna
                                    hacia lo alto: donde a su vez será disuelto en la última
                                    forma de las formas: invertida raíz: la llama.
 
                                    ט   TET
 
                                    La sangre se hace centro y lo disperso convergencia:
                                    todo es reabsorbido desde la piedra al ala hasta el lugar
                                    de la generación: las aves vuelan en redondo para indicar
                                    el centro de lo cóncavo: el mundo se retrae a ti: porque
                                    el vientre ha de ser igual al mundo: engéndrame de nue-
                                    vo: hazme morir de un nuevo nacimiento: respírame y
                                    expúlsame: animal de tus aguas: pez y paloma y sierpe.
 

                                   Tercera lección
 
                                    י   YOD
 
                                       La mano: en alianza la mano y la palabra: de alef a tav
                                    se extiende yod: el tiempo no partido: la longitud de
                                    todo lo existente cabe en la primera letra del nombre: yo
                                    no podría franquear este umbral: no está mi voz desnu-
                                    da: la mano es una vibración muy leve como pulmón de
                                    un ave o como el despertar: lo que es de tiempo no es de
                                    tiempo: no pasaré o no entraré en el nombre: exilio: sepa-
                                    raré las aguas para que llegues hasta mí, dijiste: la mano
                                    es un gran pájaro incendiado que vuela hacia el poniente
                                    y se consume como una antorcha de oscura luz.
 
                                    כ  CAF                                                       
 
                                       Palma: palma o concavidad o bóveda o vacío: oscura                                                                   
                                    espera de la luz: cuando los brazos fatigados caen redes-
                                    ciende la noche: quien ora brota de la matriz, viviente, o
                                    de la muerte: los brazos alzan, igual que un árbol, palmas:
                                    palma o concavidad o vaso: en medio de la noche: para      
                                    que pueda así nacer sobre la sombra el signo: trazar los
                                    signos: signos o letras, números, la forma: nombrar lo
                                    recibido: ciego bautismo de la luz: el rayo.
 
                                    ל  LAMED
 
                                       Tocaste las aguas, la quietud de las aguas, y engendras-
                                    te la vibración: creciste en círculos: descendiste a los
                                    limos: penetraste en la noche y en la viscosidad: creció lo
                                    múltiple: raíz de engendramiento: tú eres y no eres
                                    inmortal.
 
                                    מ   MEM
                                                           
                                       En el vértigo de la inmovilidad: las aguas: lo que en
                                    ellas oscuro se alimenta a sí mismo igual que un padre       
                                    hembra: noche de la materia: fluir fetal en la deriva quie-
                                    ta de las Madres: en donde nada opone resistencia a la      
                                    vida: el que espera entrar en el nombre ha de velar noc-  
                                    turno a las orillas de la sola quietud: las aguas.          
                                                            
                                    נ   NUN
 
                                       Para que sigas: para que sigas y te perpetúes: para que
                                    la forma engendre a la forma: para que se multipliquen
                                    las especies: para que la hoja nazca y muera, vuelva a
                                    nacer y vea la imagen de la hoja: para que las ruinas de
                                    los tiempos juntos sean la eternidad: para que el rostro
                                    se transforme en rostro: la mirada en mirada: la mano al
                                    fin en reconocimiento: oh Jerusalem.
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