Tra la fine del 2018 e il 2019 mi sono dedicato alla realizzazione di due progetti socio-educativi: uno in Francia, con Démos (Philharmonie de Paris), l'altro in Italia con il Divertimento Ensemble.
Educare i bambini alla musica significa soprattutto educarli
con la musica: trasmettere loro il desiderio dei valori civili che l'arte porta con sé, in aggiunta alla possibilità di essere attivatrice di facoltà precipue a essa connaturate che hanno a che fare con la percezione, la sensibilità, la motivazione, i riflessi, il desiderio di conoscenza, la curiosità verso l'ignoto, la scoperta di sé e del mondo, la socializzazione. Entrambi i progetti sono nati dal desiderio di fare della pratica musicale uno strumento di conoscenza e di presa di coscienza di problematiche che la travalicano, ma che attraverso essa possono essere condivise e comunicate in modalità socialmente efficaci.
Nel caso del progetto francese, il tema "civile" affrontato e trasposto in una composizione per orchestra sinfonica (di bambini) e voce femminile è stato la perdita della diversità biologica dovuta ai cambiamenti climatici e agli effetti negativi della globalizzazione, problema di cui i bambini presenti e futuri sono vittime incolpevoli, problema che a loro è stato demandato di risolvere da svariate generazioni di adulti colpevoli di un uso scellerato delle risorse del pianeta.
Per il progetto del Divertimento Ensemble (così fortemente voluto da Giulia e da Sandro, che qui ringrazio con affetto), il tema è quello del dialogo civile tra i popoli e dell'integrazione razziale, problema di stringente attualità e certamente correlato agi effetti della globalizzazione e dei cambiamenti climatici. Come nel caso precedente, ancora una volta i bambini si trovano a dover pagare le conseguenze di un problema causato dalla cecità stupida degli adulti (politici, multinazionali, organismi finanziari...) che si ergono a dominatori insindacabili del mondo e indifferenti alle sue sorti.
In questi termini l'apporto che questo progetto mi ha dato è stato duplice:
- dal punto di vista artistico ha potuto spingere la mia "ispirazione" verso nuovi confini: come scrivere per dei giovanissimi "musicisti" che non praticano abitualmente la musica e non sono educati alla sua grammatica, come farli interagire con dei musicisti professionisti in un quadro performativo di tipo convenzionale (e simbolicamente rappresentativo di una società virtuosa)?
- dal punto di vista politico-estetico mi ha obbligato a una severa rimessa in discussione dei fondamenti della mia militanza compositiva. Perché questo è il senso di tutta l'operazione: sono i bambini che portano alla società degli adulti e agli adulti del futuro la speranza e l'energia di una presa di coscienza in grado di sconfessare la visione anacronistica degli adulti favorevoli a un modo antagonisticamente diviso in base alle razze, alle religioni, al gender. Come affidare ai bambini un messaggio di tipo "politico" senza cadere nel paternalismo, nell'ecumenismo superficiale, nella strumentalizzazione, nella demagogia?
Chi? è stato forse il pezzo più difficile da scrivere per me, e proprio per questi motivi. Ha messo in crisi le certezze inconsciamente autoprotettive e autoproduttive di un compositore appartenente alla categoria degli artisti di estrazione "colta". Mai le domande "per chi scrivo?", "chi mi ascolta?", "perché scrivo?", "perché credo che così io debba scrivere?", "che tipo di tracce credo posso lasciare a chi mi ascolta?", "cosa se ne farà chi prova a volerle ascoltare o a interpretarle?", "la mia musica è in grado di dire ciò che io vorrei che dicesse?", "è in grado, in questo senso, di farsi ascoltare?", "ha il diritto di dire ciò che vuole dire?", sono state così brucianti per me; al punto quasi di non permettermi una risposta, al punto di dovere rinunciare a scrivere questo pezzo che, non per caso, ho voluto chiamare
azione musicale. E' stata, per me, una lezione importante, come può essere stato per tanti autori del passato l'attingere alle sorgenti della musica popolare, e/o per altri alle ragioni dell'impegno politico.
Una nuova forma di militanza, artistica e civica, forse. L'artista-cittadino che si confronta veramente con la società e i suoi meccanismi e non pretende di educarla (o di indottrinarla) vestendo i panni dell'intellettuale. Non amo la categoria dell'artista chiuso nelle proprie convinzioni e in una
techne definita una volta per tutte, in definitiva compiaciuto di possedere narcisisticamente verità esoteriche quasi inaccessibili. L'impegno a comunicare a più livelli, in un mondo sempre più complesso, stratificato, condizionato e contraddittorio e non certo bisognoso della musica che da 130 anni almeno chiamiamo "del nostro tempo", aggiunge valore al mio lavoro e lo nutre di energia creativa. Lo spinge a evolversi continuamente nei modi e nelle intenzioni, non rinnegando gli strumenti sofisticati che con la scuola, il mestiere, l'esperienza e la ricerca ho saputo apprendere. Lo piega a essere responsabile delle sue finalità espressive, affinché la musica possa sempre essere portatrice di speranze condivisibili.
S.G. 18.5.19