In questo ciclo in omaggio a Schumann rielaboro alcuni brani del compositore renano attraverso un dispositivo elettronico “invisibile” che consente di amplificare un segnale audio “artificiale” usando la cassa armonica stessa dello strumento, cioè in maniera del tutto “naturale”. Tale tecnologia assolve lo scopo di introdurre surrettiziamente - cioè celandone deliberatamente la provenienza - una voce che si insinua in maniera fantomatica nella trama pianistica: l’ascoltatore dovrà dunque percepirla come prodotta dal pianoforte stesso, anche se in realtà non viene azionata meccanicamente dal pianista, al quale è riservato invece il compito di “accompagnare” questa “innere Stimme” che si materializza magicamente nel suo stesso strumento.
All’evocazione di questa ossessione così a lungo perseguita da Schumann, partecipano altri compositori del nostro tempo, creatori visionari come lo fu Schumann: Luigi Nono per il primo brano, Helmut Lachenmann per il secondo, Gérard Grisey per il terzo, Niccolò Castiglioni per il quarto e Heinz Holliger per il quinto, a cui congiuntamente rendo omaggio. Essi mi offrono lo spunto per creare la dimensione sonora adatta nella quale fare sorgere e vivere il sogno schumanniano.
Nel primo testo schumanniano,
Abendlied, scritto da Schumann, per pianoforte a tre mani, la “innere Stimme” è la mano destra del primo pianista, trasformata in vento dal mezzo elettronico, che fa vibrare l’arpa eolica immaginaria costituita dal pianoforte stesso. Nel secondo (“Langsam und mit Ausdruck”) sono le parti del violino e del violoncello del
Duetto schumanniano a diventare echi di voci suadenti e minacciose di sirene. Per il terzo brano un vero e proprio controcanto melodico al quarto numero delle
Waldszenen da me scritto utilizzando le parole della poesia di Hebbel, “Verrufene Stelle”, che Schumann mise in esèrgo al manoscritto. Il ricordo del precedente numero delle
Waldszenen (“Einsame Blumen”) appare in filigrana come un fiore delicato che svanisca all’apparizione tragica di una realtà ad esso aspramente ostile. In
Vogelgänger l’uccello profeta di Schumann diventa il doppio virtuale del pianoforte dal vivo: dapprima intesse con il pianista un dialogo serrato, quasi fosse la sua inseparabile ombra; si integra poi al suono pianistico fondendosi nel canto accordale della sezione centrale; infine giunge a sublimare il suono dello strumento, che progressivamente si trasfigura in un canto di uccelli quasi la cordiera del pianoforte si fosse trasformata in voliera. Nell’ultimo brano, il pianista esegue integralmente il corale del primo dei
Gesänge der Frühe, mentre l’elettronica ne prolunga impercettibilmente alcune note fino allo stretto finale, avvolgendolo in un paesaggio sonoro irreale che estende all’infinito l’agogica
Im ruhigen Tempo indicata da Schumann: come se l’alba, riconquistata dopo l’esplorazione della luce crepuscolare promessa dal primo brano e pervasa dagli incontri sonori che in questo estatico viaggio notturno si sono materializzati, fosse memore di quell’attraversamento e, saggia consigliera, ne custodisse l’essenza per i giorni a venire. Nella coda elettronica che chiude il ciclo, lacerti dei motivi ascoltati nei brani precedenti appaiono come echi lontani fondendosi in un unico suono complessivo che li sospende in un intreccio trasparente dove ripetizione, dilatazione, stratificazione, interpolazione si richiamano metamorfizzandosi senza fine.
In
Luce ignota della sera, primo numero di questo “polittico”, sono presenti delle reminiscenze della musica di Nono (senza alcuna citazione diretta) avendo introdotto un progressivo sfasamento microtonale nella parte del pianoforte eseguita dal vivo operato attraverso l’elettronica che produce uno sfocamento graduale dell’intonazione avvertibile in maniera sempre più sensibile all’ascolto. In
Sirenenstimme, l’influenza della poetica di Lachenmann si materializza nella trasfigurazione del suono del motore pianistico accompagnatore attraverso la preparazione di alcune corde acute. In
Fiori soli rossi l’idea di Grisey di un “naturalismo” sonoro da cui dedurre i principi della composizione mi ha invitato ad avvolgere l’apparizione della melodia-fantasma nel velo delle componenti di uno spettro (acustico) che si deformano progressivamente: sospingendo il testo di Hebbel verso confini inesplorati, restituendo così le parole alla natura stessa della voce e al mistero, a-linguistico, del suono. In
Vogelgänger lo sfavillio ornitologico che proietta gli arpeggi misteriosi del pianoforte nell’orizzonte acuto di melodie d’uccelli intende rendere omaggio a Castiglioni, che di quel cielo e di quella lingua era maestro.
Alba mentore proprio perché associa un processo di inesorabile congelamento ad uno di graduale dilatazione – quasi un custodire la memoria dando luce alla speranza – mi unisce idealmente al pensiero di Holliger, compositore tra i pochi del nostro tempo capace di coniugare, con antiaccademica sapienza dei procedimenti costruttivi, l’esplorazione del nuovo alla coscienza della storia.
Stefano Gervasoni, 25.7.2017